Sindrome femoro-rotulea

SOFFRI DI DOLORE ANTERIORE DI GINOCCHIO O DI SINTOMI FEMORO-ROTULEI?

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FACCIAMO CHIAREZZA: DEFINIZIONI, SEGNI, SINTOMI E DIFFICOLTA’

La sindrome femoro-rotulea, o dolore femoro-rotuleo, è un disturbo muscolo-scheletrico che colpisce il ginocchio. Esso è caratterizzato da dolore retro-patellare (percepito dietro la rotula) e/o peri-patellare (percepito attorno alla rotula), aggravato, tipicamente, da almeno una  delle seguenti attività:

  • accovacciarsi
  • salire e scendere le scale
  • alzarsi da una sedia
  • rimanere a lungo seduti (“segno del cinema”)
  • fare jogging / correre
  • saltare

Altri sintomi, che possono associarsi al dolore, sono i crepitii articolari. Gli anglosassoni parlano di “grinding” (paragonando lo scorrimento della rotula all’azione di una grattugia).

E’ quindi facile comprendere come questo disturbo, se severo, possa ridurre la qualità della vita di chi ne soffre, rendendo difficili e talvolta impossibili una o più delle sopra citate attività.

Il dolore femoro-rotuleo è molto frequente, colpisce infatti il 22,7% della popolazione generale, affliggendo maggiormente adolescenti, persone di sesso femminile e sportivi (soprattutto ciclisti e corridori).

La patogenesi (lo sviluppo) di questa patologia sembra aver a che fare con un cattivo scorrimento della rotula sul femore sottostante, meccanismo che può generare sovraccarichi alle strutture articolari ed extra-articolari. Si pensa che, ove si verifichi, l’alterato scorrimento della rotula potrebbe determinare con il tempo anche una degenerazione della cartilagine, dando vita ad un quadro di artrosi femoro-rotulea (o patello-femorale).

Quest’ultimo, se presente, può essere anche apprezzato mediante metodiche strumentali – ad es. mediante una radiografia in carico -.

Come per la patogenesi, anche per quanto riguarda l’etiologia (la causa) della sindrome femoro-rotulea, la ricerca deve ancora chiarire diversi aspetti. L’ipotesi è comunque quella di una sinergia di fattori – taluni predisponenti, altri scatenenti – come: predisposizione genetica (ad es. conformazione della rotula e delle superfici articolari, etc.), debolezza dei muscoli abduttori ed extra-rotatori d’anca, valgismo dinamico aumentato di ginocchio, debolezza del quadricipite, pronazione del piede (un difetto di appoggio plantare), etc.

Se non inquadrato, correttamente ed in tempi brevi, e se non trattato in modo appropriato, il dolore femoro-rotuleo può andare incontro a cronicizzazione, in altre parole, diventare persistente o recidivante (tornare ad affliggerci periodicamente).

Ma non sempre, se si sente dolore al ginocchio, si tratta di sindrome femoro-rotulea. Molte infatti sono le patologie del ginocchio che possono causare sintomi e difficoltà nello svolgere le attività della vita quotidiana.

 

RACCOMANDAZIONI: TERAPIE E COMPORTAMENTI

Se i sintomi sono intensi, costanti o il dolore permane per più di qualche minuto oltre la fine di un’attività provocativa, può essere indicata una terapia antalgica, utile a ridurre l’irritabilità e l’intensità di tali sintomi.  

Gli strumenti terapeutici più indicati in questa fase sono: il tape (un tipo di bendaggio) a livello rotuleo, alcune tecniche di terapia manuale – ad es. manipolazione sacro-iliaca, il trattamento dei trigger point, etc. – ed alcuni esercizi. In particolare, in questa fase, sono indicati gli esercizi di neuro-dinamica e gli esercizi di rinforzo dell’arto inferiore. Questi ultimi, però, devono essere eseguiti in modo da ridurre al minimo lo stress meccanico a livello dell’articolazione offesa (l’articolazione femoro-rotulea appunto); spesso si propone, per iniziare, uno squat isometrico con un angolo di flessione del ginocchio che si mantenga attorno ai 48°.

Infine, anche una modificazione dell’appoggio plantare, ove questo si dimostri alterato, può contribuire a ridurre il dolore.

In questa fase, talvolta, vengono prescritti anche dei Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei (FANS) o viene proposta della terapia fisica strumentale (ad es. TECAR terapia).

Sempre in questa prima fase, è necessario ridurre le situazioni nelle quali i tessuti colpiti da questo disturbo vengono sovraccaricati; questo può essere ottenuto modificando o riducendo alcune attività.

Una volta ridotta l’irritabilità e l’intensità dei sintomi, però, è necessario intraprendere un percorso di riabilitazione attivo, per limitare al massimo il rischio che il dolore divenga ricorrente o persistente.

In questa seconda fase, che può essere anche intrapresa sin da subito nel caso in cui i sintomi siano lievi, percepiti soltanto durante alcune attività o movimenti, l’esercizio è il cardine del trattamento.

E’ utile migliorare forza – in particolare di extra rotatori e abduttori d’anca (ad es. medio gluteo) – e  propriocezione dell’arto inferiore, per poi poter lavorare in modo più globale su rinforzo del core (ad es. con esercizi quali il plank), equilibrio e attività della vita quotidiana (ad es. camminare, alzarsi e sedersi, etc.), piuttosto che sul gesto sportivo (ad es. salto, corsa, squat, etc.).

Se la persona affetta da questo disturbo è un’atleta, uno specialista in riabilitazione sportiva curerà il suo ritorno all’allenamento ed alla gara in sicurezza. 

Se si intraprende un percorso di questo tipo, la prognosi a medio-lungo termine è positiva, in altre parole: è una patologia noiosa, disabilitante, ma risolvibile.

Riguardo alla prevenzione, nonostante non vi siano robuste prove di efficacia in letteratura, esistono alcune buone norme di ‘igiene articolare’ utili per noi stessi o ad es. da suggerire ai nostri figli.

Annoveriamo tra queste: mantenere un buon livello di forza dei muscoli dell’anca e del core addominale, cercare di evitare il mantenimento di posture prolungate (specie in massima flessione od estensione del ginocchio), curare la preparazione atletica (nel caso in cui si pratichi uno sport), etc.

 

Contenuti a cura della dott.ssa Costanza Delli

Revisione dei testi a cura del dott. Mario De Marco

Grafica e immagini a cura di Emanuele Santi

 

 

 

 

 

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