Tendinopatia achillea

SOFFRI DI DOLORE AL TENDINE D’ACHILLE O HAI UNA DIAGNOSI DI TENDINOPATIA ACHILLEA?

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FACCIAMO CHIAREZZA: DEFINIZIONI, SEGNI, SINTOMI E DIFFICOLTA’

La tendinopatia achillea è una condizione persistente caratterizzata da dolore a livello del tendine  d’Achille e da una perdita di funzione (“difficoltà di movimento”). 

Essa è una patologia molto diffusa sia tra gli sportivi professionisti che tra quelli amatoriali, ma può colpire anche frequentemente persone sedentarie. La prevalenza (i casi di tendinopatia achillea nella popolazione in un determinato momento), in generale, è superiore al 6% e non sono infrequenti i casi bilaterali. 

Il tendine d’Achille è il tendine che possiamo facilmente vedere o palpare tra il polpaccio e il calcagno, posteriormente, a livello del quarto inferiore della gamba. 

I sintomi dolorosi possono manifestarsi a livello del terzo medio del tendine (vedi figura 1), in questo caso si parla di tendinopatia della porzione media, o in zona inserzionale a livello del calcagno (vedi figura 2), in quest’altro caso si parla invece di tendinopatia inserzionale o entesopatia. Nella tendinopatia della porzione media, oltre al dolore,  può essere presente un ispessimento del tendine od un gonfiore più generalizzato, elementi riscontrabili anche ad occhio nudo / attraverso la palpazione o mediante un’ecografia / risonanza magnetica; nella tendinopatia inserzionale invece una radiografia potrebbe rivelare la presenza di speroni calcaneari / calcificazioni entesopatiche. 

E’ da precisare però che il valore dei suddetti reperti identificabili mediante esami strumentali non è ancora stato chiarito fino in fondo. 

Il dolore tendineo è tipicamente legato al carico, in altre parole agli stimoli meccanici, quindi chi soffre di tendinopatia achillea avrà probabilmente difficoltà a svolgere alcune attività a causa del dolore, ad es.: 

  • scendere le scale; 
  • correre o camminare; 
  • saltare; 
  • andare sulle punte; 
  • svolgere specifiche attività sportive o lavorative; 
  • etc.

Da notare che spesso il dolore tendineo, presente all’inizio di un’attività, tende a migliorare dopo una fase di “riscaldamento”.  Si parla di irritabilità del quadro clinico se tale dolore si ripresenta e perdura fino al risveglio, il giorno seguente l’attività provocativa. Questo secondo fenomeno spesso significa che il carico (stimolo meccanico) che abbiamo dato al tendine era eccessivo in quella determinata fase. 

Le limitazioni nelle attività, che possono determinare talvolta anche la rinuncia del paziente alla partecipazione a determinate situazioni sociali (ad es. ritiro dall’attività sportiva, periodi più o meno lunghi di assenza dal lavoro, etc.), dipendono proprio dalla severità e dall’irritabilità del quadro clinico, in altre parole dall’intensità del dolore, da quanto carico è sufficiente per scatenarlo e da quanto tempo tali sintomi perdurano dopo la fine dell’attività che li ha provocati. 

Un tempo questa patologia veniva definita “tendinite achillea” o genericamente tal volta veniva fatta rientrare tra le “talloniti”, si pensava infatti che la causa dei sintomi dolorosi fosse un’infiammazione a livello del tendine; è stata poi definita “tendinosi achillea”, mettendo questa volta l’accento sui processi degenerativi che si pensavano essere la causa dei problemi del paziente; oggi, con il termine “tendinopatia achillea”,  si vuole invece allargare il focus, passando dalla descrizione del processo patogenetico, non ancora del tutto chiarito dalla ricerca scientifica, all’individuazione di una categoria ampia (tendinopatia), che può comprendere condizioni istologiche diverse e che da spazio ad aspetti sistemici e personali. 

Abbiamo detto quindi che la patogenesi (lo sviluppo di questa patologia) non è ancora stata del tutto chiarita, ma ecco cosa sappiamo: 

  • i tendini sani sono costituiti da  tenociti (cellule tendinee), collagene di tipo I (che conferisce al tendine la proprietà di resistenza alla trazione) e la matrice extracellulare (che stabilizza la struttura rendendola compatta ed “ordinata”); 
  • nei tendini malati i tenociti crescono e iniziano a produrre mediatori chimici (tra questi ci sono dei peptidi coinvolti nella generazione del dolore), il collagene è di tipo I, II e III (gli ultimi due tipi non sono utili alla funzione del tendine), la sostanza extracellulare aumenta e diviene più ricca d’acqua (in questo modo la struttura del tendine si scompagina, divenendo meno funzionale e resistente) e infine vi è lo sviluppo di nuovi vasi e terminazioni nervose (fenomeno che potrebbe essere anch’esso legato alla generazione del dolore).

Dopo un sovraccarico tendineo, assistiamo ad una prima fase, definita tendinopatia reattiva, nella quale tali modificazioni hanno inizio a livello istologico, anche se sono ancora reversibili, ma se tale fenomeno non viene arginato il tendine va in contro ad una “mancata guarigione” e infine ad un processo di degenerazione. Se da un lato i sintomi tendono a diminuire in fase degenerativa, le modificazioni strutturali si consolidano. 

E’ però frequente che si verifichino anche fenomeni reattivi (acuti, in risposta ad un altro sovraccarico) in presenza di tendinopatia achillea in fase degenerativa. 

L’eziologia (la causa) della tendinopatia achillea, come quella di tutte le tendinopatie, è quindi da ricondurre ad un eccesso di carico meccanico. Questo però non dev’essere necessariamente elevato, basta che il carico sia eccessivo per il tendine specifico, dell’individuo specifico. Persone con caratteristiche diverse avranno quindi diversa capacità di resistere ad un determinato livello di carico meccanico. 

I fattori di rischio per la tendinopatia achillea possono quindi essere: 

  • di natura esogena, legati al carico: sessioni di allenamento troppo lunghe o troppo intense, mancanza di riposo, cambiamenti repentini nell’attività fisica, alcune attività sportive quali la corsa (la tendinopatia achillea è una patologia molto diffusa tra i runner), esercizi che prevedono una compressione (specie per le forme di tendinopatia inserzionale), ma anche sedentarietà…
  • di natura endogena: età e sesso (gli individui più a rischio sono i giovani maschi e le femmine nel periodo post-menopausa), obesità (per l’effetto biomeccanico del peso, ma probabilmente ancor più per l’azione endocrina del grasso), diabete di tipo II, alcune classi di antibiotici (fluoroquinoloni, specie se in combinazione con i corticosteroidi), rigidità (mancanza di flessibilità), patologie reumatiche e metaboliche…

E’ necessario precisare che, mentre alcuni fattori di rischio sono provati da solidi dati scientifici, altri sono frutto del consenso di esperti o ancora dibattuti in letteratura.

 

RACCOMANDAZIONI: TERAPIE E COMPORTAMENTI

E’ necessario premettere che esiste una grande quantità di trattamenti proposti per la tendinopatia achillea, alcuni di questi sono anche invasivi e costosi. Nonostante ciò, le prove di efficacia a sostegno della gran parte delle terapie esistenti sono insufficienti. 

Due esempi su tutti sono i Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS) e lo stretching muscolare, che non sono efficaci nelle tendinopatie e che quindi non sono raccomandati.

Altra nota dolente è che, indipendentemente del trattamento, il tasso di recidive è molto elevato, quindi in altre parole non è improbabile che dopo un primo episodio di tendinopatia achillea ne seguano altri, nel corso della vita. 

Di fronte ad una diagnosi strumentale (mediante ecografia o risonanza magnetica) di tendinopatia achillea o a segni e sintomi che potrebbero suggerirne la presenza, rivolgiamoci innanzitutto ad un clinico esperto. Infatti, sebbene il dolore associato a tendinopatia achillea sia molto localizzato, non è scontato che sintomi a livello del retropiede siano sempre da ricondurre a questa patologia. Altre patologie del complesso caviglia-piede (ad es. l’instabilità di caviglia…), sintomi di origine lombare, patologie reumatiche, malattie sistemiche, etc., possono “mimare” una tendinopatia achillea necessitando però tutt’altro percorso terapeutico. 

Una volta confermata la diagnosi, semplificando, è possibile individuare 2 diversi scenari: 

1. Dolore, perdita di funzione (“difficoltà di movimento”) e alterazioni strutturali del tendine (visibili mediante esami strumentali, ad es. ecografia o risonanza magnetica); 

2. Alterazioni strutturali del tendine (visibili mediante esami strumentali, ad es. ecografia o risonanza magnetica), ma assenza di sintomi.

Nel primo caso gli obiettivi saranno 2: la riduzione dei sintomi/delle difficoltà di movimento e il miglioramento della struttura tendinea, in ottica di prevenzione di rotture tendinee o recidive. Per il perseguimento di tali obiettivi terapeutici, è necessario rimodulare i carichi, riducendo nelle prime fasi gli stimoli meccanici (ad es. attività sportiva) che gravano sul tendine e iniziare precocemente un programma di esercizio terapeutico. Nelle fasi successive, all’esercizio terapeutico si affiancherà un programma di esposizione graduale ai carichi, con il fine di riprendere pienamente le attività. 

L’esercizio terapeutico è quindi il trattamento chiave nella tendinopatia achillea e verrà scelto e dosato con cura da un fisioterapista, tipicamente specializzato in gestione dei disturbi muscoloscheletrici o in fisioterapia dello sport, che rivalutando e confrontandosi continuamente con il paziente potrà accompagnare il malato verso un pieno recupero. 

E’ importante quindi capire che con esistono esercizi “giusti” o “sbagliati” in assoluto, ma l’indicazione cambia a seconda del quadro clinico e della fase.  Se nelle prime fasi potrebbe essere indicata una contrazione isometrica, in fase di riatletizzazione il è necessario introdurre stimoli anche molto importanti per il tendine, quali quelli determinati da un esercizio pliometrico. 

Mentre una riduzione significativa dei sintomi è attesa già nelle prime settimane, per ottenere dei risultati ositivi a livello delle alterazioni strutturali è necessario attendere qualche mese. 

Nel caso in qui fossimo affetti da alterazioni strutturali, in assenza di sintomi (scenario 2), l’obiettivo del trattamento sarà solo quello di migliorare il più possibile le proprietà meccaniche del tendine degenerato, in ottica di prevenzione delle rotture o di futuri episodi dolorosi. 

Che vi siano o meno sintomi, un altro obiettivo terapeutico da perseguire è la riduzione dei fattori di rischio, non legati al carico, per lo sviluppo della tendinopatia. 

E’ quindi indicato a prescindere dai sintomi: un intervento fisioterapico e/o nutrizionale per il miglioramento del metabolismo, la corretta gestione di patologie concomitanti (ad es. diabete tipo II, patologie reumatiche, etc.) e il miglioramento della biomeccanica dell’arto inferiore attraverso esercizio terapeutico (da affiancare al programma specifico per il tendine, costituito da esercizi di rinforzo o mobilità, in base alle specifiche disfunzioni) e terapia manuale, come coadiuvante (anch’essa orientata alle specifiche disfunzioni). 

Nel caso di sportivi amatoriali o atleti professionisti, è importante non trascurare la fase di riatletizzazione che deve precedere il ritorno all’attività sportiva. Questa fase sarà più o meno lunga in base a diversi fattori, tra i quali la durata dell’astensione dall’attività stessa. In alcuni casi, per “accorciare di tempi”, è indicato intervenire parallelamente agli esercizi specifici per il tendine con un programma di mantenimento della condizione fisica generale. Sarà compito di un fisioterapista specializzato in fisioterapia dello sport elaborare un piano d’allenamento che persegua questo obiettivo, senza interferire con il programma di esercizio terapeutico specifico per la tendinopatia. Gli esercizi per il mantenimento della condizione fisica saranno quindi adattati al caso specifico, anche in fase irritativa, quando l’indicazione è la riduzione del carico. Ad esclusivo titolo di esempio, pensiamo al plank con piedi in scarico

Alle persone che, nonostante l’approccio sopra descritto, continuano a lamentare sintomi a livello del tendine d’Achille, a volte vengono proposte terapie a base di emo-derivati (la terapia con Plateled-Rich Plasma – PRP) o  terapie fisiche strumentali (ad es. terapia ad onde d’urto), per le quali però i dati in letteratura sono ancora scarsi. 

 

Contenuti a cura della dott.ssa Costanza Delli

Revisione dei testi a cura del dott. Mario De Marco

Grafica e immagini a cura di Emanuele Santi

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